Il simbolismo pulveriano dello spazio grafico e l’inconscio nella scrittura

 

Individuazione

Gaetano Rizzo

* L'articolo è stato scritto in collaborazione con Rita Dioli


Perchè chi si accosta per la prima volta alla lettura della mirabile opera di Pulver ne trae immediato senso di convinta partecipazione, sincera adesione ai suoi contenuti, spontanea condivisione delle sue affermazioni?

Nella sua costruzione interpretativa Pulver ha utilizzato una simbologia di cui tutti siamo in possesso e riconoscendola come intimamente nostra, come spontaneamente acquisita al nostro patrimonio culturale non abbiamo alcuna difficoltà a condividerla.

E’ vero che un foglio bianco è spazio vuoto, che di per sè non sollecita emozioni , ma predisponendoci a gestirlo vi trasferiamo volontà e sentimenti che ci stanno a cuore nel momento della scrittura.

Organizzare questo vuoto, renderlo in qualche modo partecipe di noi implica dunque una serie di scelte la cui intima motivazione ci sfugge.

Non pensiamo certo che l’alto del foglio sia il cielo, l’immaginazione, il sogno, il mondo estetico e religioso o che il basso sia in stretto rapporto con la terra, la consapevolezza della sessualità, i bisogni materiali, il mondo pratico cioè il mondo del fare e dell’agire.

Tuttavia è proprio lì sul foglio, nell’atto dello scrivere, che facciamo le nostre scelte, e fra i tanti possibili evochiamo gesti che più ci rappresentano, quelli cui siamo più intimamente legati.

Rispondendo ad inspiegabili ed ignote istanze costruiamo ogni giorno e giorno dopo giorno la nostra personalità grafica.

E’ inevitabile che ciò che ci lasciamo alle spalle rappresenti ciò che sta dietro di noi, il nostro passato, così come l’"essere ora" , dimensione del divenire, sia il margine destro, proiezione di un modello di uomo ideale (il padre) cui tendiamo.

In analogia alla simbologia cattolica la destra (il Figlio siede alla destra del Padre) è anche progetto del futuro, di realizzazioni a venire, ma anche attesa di completezza, ragione carica di significati, progetto personale, "storia" dell’uomo in divenire.

Il movimento della mano sul foglio è dunque movimento nelle tre dimensioni dello spazio, ma anche nello spazio interiore, cioè nel proprio ambito emozionale, nell’interiore vissuto.

Pulver ha, per esigenze didattiche, tradotto lo spazio grafico nelle quattro direzioni fondamentali (alto, basso, destra, sinistra), ovvero nei quattro luoghi proiettivi dell’anima (alto/cielo, basso/terra, sinistra/madre, destra/padre); sono i luoghi in cui l’inconscio dello scrivente trasferisce le proprie istanze, le angosce, le tensioni di fuga o di ritorno verso sé o verso l’altro.

Se nella sua opera "Simbologia della scrittura" Pulver ha posto un pietra miliare nella logica interpretativa della grafia è perchè ha intravisto la necessità, più propriamente inconscia, di obbedienza ad una istanza incoercibile, ovvero una inconscia volontà, libera dal controllo volontario della coscienza, che guida la mano dello scrivente.

Non è neppure un caso che lo stesso autore abbia definito la sua interpretazione in senso strettamente "simbolico", in ciò riferendosi alla proprietà più rilevante della rappresentazione simbolica: che è presunzione di analogia tra simbolizzante (elemento utilizzato per rappresentare) e simboleggiato (realtà rappresentata), ma anche fondamentale vaghezza di significato.

Ogni simbolo autentico è plurivoco, carico di allusioni e implicazioni, non si esaurisce in sè, ma in sè ha una completezza che deve essere completata, perfettamente riconoscibile ma talmente ricca da essere indescrivibile.

Il simbolo pulveriano, arcaico vettore di forza e di direzione, esprime quindi una necessità non realizzata, una tendenza, una istanza interiore di rappresentazione.

Che di vera necessità si tratti non è un caso perchè il ritratto offerto dalla grafia è unico ed irripetibile per ciascuno di noi.

Se così non fosse, e se ogni cosa fosse sotto il controllo esclusivo della volontà, e se fosse veramente la nostra volontà alla guida del gesto, la nostra scrittura acquisterebbe di volta in volta espressioni e caratteristiche plasmate a piacimento: come un vestito che cambia secondo la stagione.

Sappiamo che così non è e in alcun modo può dimostrarsi il contrario.

E’ in ragione di questo che l’assunto fondamentale che non esistano due scritture uguali conserva tuttavia immutato il suo valore e continua ad essere uno dei capisaldi della logica interpretativa grafologica.

 

Esiste un luogo grafico dell’inconscio?

 

Lo schematismo esasperato derivato dalla logica simbolica pulveriana ha successivamente indotto in errore non pochi grafologi, spingendoli ad affermare, ad esempio, che la rappresentazione dell’inconscio sia da identificare nello spazio grafico inferiore, ovvero ben al di sotto la linea di base.

La grossolanità dell’errore e la forzatura cui nel tempo sono state sottoposte le intuizioni pulveriane sono evidenti. D’altra parte identificare lo spazio grafico inferiore con l’inconscio non sarebbe coerente con il simbolismo pulveriano; confinare l’inconscio in una specie di "ripostiglio" sarebbe infatti privare la capacità proiettiva dell’anima di un mondo vero e proprio, vitale e reale, immanente nella vita dell’individuo, più ricco ed esteso del mondo conscio. Spesso l’eccessivo schematismo, formale e logico, frutto delle leggi della vita conscia, (ma spesso privo di senso nelle conclusioni dedotte rigorosamente), mal si addice ad indagare i rapporti dell’uomo con il proprio inconscio; non sono mai soltanto le ferree leggi del sillogismo che permettono di abbracciare verità sempre più ampie, ma la capacità di dialogare di conscio ed inconscio, dialogo essenzialmente "simbolico" che presenti l’oggetto sotto visuali sempre diverse, ma sempre più complete e ampie.

Un tal modo di procedere, simile alle volute di una spirale che divengono sempre più ampie per abbracciare l’uomo nella sua completezza, sembrerebbe aver caratterizzato anche l’opera di Padre Girolamo Moretti; il contenuto "simbolico" delle sue intuizioni è evidente; infatti in Italia la grafologia morettiana non affronta direttamente il tema dell’inconscio nella scrittura, ma nella visione della "passione predominante" cui Moretti dedica un trattato, vengono delineati i parametri interpretativi della scrittura sotto il profilo della sua originale psicologia.

Come ho avuto modo di affermare altrove esiste una sostanziale equivalenza fra il concetto junghiano di Ombra e la "passione predominante" di padre Moretti.

La combinazione dei segni esprime per Moretti la sintesi individuale, come somma delle forze espresse dai quattro temperamenti che in evidente squilibrio energetico concretizzano nello spazio grafico la sofferenza espressa dalla "passione predominante".

Solo una rilettura sotto il profilo più strettamente "energetico" può darci ragione della intuizione instancabile del Moretti e metterci nelle condizioni di tracciare una convincente ipotesi di lavoro.

E’ l’assenza e l’eccessiva presenza di uno o più temperamenti sugli altri a turbare l’equilibrio individuale esponendoci a un disturbo della gestione energetica dell’Io.

Tale dispendio energetico è dunque squilibrio di forze, concorrenza di eventi contrastanti, opposizione interna irrisolta, in una parola disagio interiore.

La riflessione cristiana sull’origine del peccato porta necessariamente al racconto della Genesi; qui Adamo ed Eva rivendicano un’autonomia morale che possa dare loro la facoltà di decidere

ciò che è bene e ciò che è male per cui l’uomo rinnega il suo stato di creatura; è il disordine che il peccato introduce nell’armonia della creazione, nell’ordine e nell’equilibrio voluti da Dio.

L’essere veramente uomo, per dirla con Jung, diventa quindi uno stato di dolorosa sofferenza, da giardiniere dell’Eden diviene mortale lavoratore di quel suolo da cui era stato tratto; torna ancora in quel "fango" che rappresenta così bene la situazione di debolezza dell’essere uomo di quella umanità dolente che scopre la propria "disordinata" corporeità nel momento in cui la luce che la colpisce ne mette in evidenza la sua "ombra".

E’ però in questa imperfezione, in questo limite, in questa finitezza, che costituiscono anche il nostro spessore, che ci è data la via della vera riconciliazione di cui il paradiso ritrovato ne è simbolo rassicurante.

Il peccato e il male, le "ombre nere" che accompagnano la nostra umanità, non sono "incidenti" privi di logica che occorre mettere tra parentesi, emarginandoli per poter comprendere la realtà; la luce della coscienza che ha messo in evidenza l’"ombra" è anche quella che vivendo autonomamente nel soggetto, persona o comunità di persone, può dare, al di là della semplice comprensione, un valore al male, sofferenza del nostro essere uomini. Con la consapevolezza che la "spiegazione totale" non può essere ridotta ad una oggettivazione razionalistica, siamo comunque "consolati" dall’occasione insuperabile dell’incontro con il nostro Sè.


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